Il valore delle cose semplici..e dei bisogni primari.

Credo che in queste settimane di quarantena forzata per tutti ci sia stato il tempo e, credo, ce ne sarà ancora tanto, per riflettere su alcuni aspetti della nostra vita.

Per lavoro e passione osservo sempre gli alberi e la prima riflessione che si è affacciata alla mia mente è stato realizzare come si sia dilatato il tempo.

Come la fretta abbia perso significato, quindi un po’ come gli alberi abbiamo più tempo per risolvere i nostri problemi quotidiani, abbiamo tempo per riconoscerli, isolarli e compartimentarli.

E’ una condizione strana per noi, ritrovarsi tanto tempo per affrontare delle problematiche o per gioire di cose belle.

Forse ci sentiamo in difficoltà anche perché non siamo abituati a gestire in primis i bisogni primari, siamo abituati a darli per scontati.

Una cosa che davamo sicuramente per scontato era il valore dello stare all’aria aperta, il valore di una passeggiata serena nel verde o la bellezza nell’osservare il risvegliarsi della Primavera.

Proprio facendo questi ragionamenti e confrontandomi con tanti amici ho realizzato, ora più che mai, quanto la terra o il ritorno alla sua valorizzazione sia fondamentale.

Quanto sia salutare “pulire” dalla nostra check list tutta una serie di bisogni futili, e integrare invece l’elenco con una serie di necessità più basilari che danno però grande soddisfazione e tranquillità.

In pratica cosa penso che voglia dire questa sensazione?

Semplicemente riportare i nostri ritmi e la nostra vita più vicini alla classica vita che facevano o che fanno i popoli e le persone che vivono in campagna e hanno un’economia basata sul settore primario, rivolta a soddisfare i bisogni primari: mangiare, scaldarsi, coltivare, conservare, riposarsi, ripararsi.

Non sono certo contro uno sviluppo costante della nostra civiltà; sono solo terrorizzato da uno sviluppo economico e sociale troppo veloce che non tiene conto del prossimo, delle sue esigenze e che, anzi, avanzando in modo spregiudicato e cieco spesso perde di vista anche le esigenze personali, non rendendosi conto di stare attuando una sorta di autodistruzione.

Quella che auspico non è una regressione, ma bensì una crescita ragionata e lungimirante che miri a conservare quello che abbiamo e non lo stritoli negli ingranaggi mossi da bisogni futili e poco futuribili.

Non posso più pensare che, dopo questa emergenza, non si capisca il valore del verde urbano a tutti i livelli, non si percepisca la fondamentale importanza di una vera agricoltura sana e che, come auspicavano gli antichi Greci quando assegnavano i terreni a persone che ritenevano illuminate, possa non solo conservare il territorio, ma addirittura renderlo più salubre e fertile.

Ecco perché guardando le foto del vecchio podere dove è nato mio padre sull’Appennino Tosco Emiliano, mi viene il desiderio che luoghi così non muoiano, sogno che vengano valorizzati e conservati semplicemente vivendoli, auspico che sempre più persone ne apprezzino il valore curativo che hanno sui ritmi della nostra vita e servano sempre più spesso per rallentare un po’.

In questi luoghi anche solo la stufa accesa che scalda la stanza, con sopra una pentola di cibo che profuma l’aria e uno sguardo sereno al sole che scende colorando la campagna, creano serenità e tranquillità per affrontare la notte.

Quanto più si riducono i bisogni futili tanto più diminuiscono le angosce.

E il cedro?…sicuramente SANGIOVESE!

Se il Carpino è un albero che a molti miei colleghi all’inizio può risultare ostico sotto diversi aspetti, diverso discorso è per il Cedro. Attenzione, non il famoso agrume bensì l’albero appartenente al genere Cedrus.

Ecco, chi mi conosce sa che il Cedro è sicuramente il mio albero preferito, per mille motivi ma sicuramente la ragione principale è che da sempre professionalmente il Cedro mi accompagna con costanza. Quando ho un periodo di “noia” nel mio lavoro ecco che magicamente appare un albero di Cedro con caratteristiche uniche che chiede di essere arrampicato o curato. O meglio, forse lui non chiede nulla, ma a me stimola e corrobora prendermene cura.

Nel mio precedente scritto mi ero azzardato a fare un paragone tra un vitigno ed un albero. La cosa mia ha divertito e ora ci riprovo con il Cedro.

Secondo me il vitigno che si potrebbe paragonare al Cedro è il Sangiovese. Perché? Beh intanto ne esistono di diverse tipologie, esattamente come accade per i Cedri: Sangiovese di Romagna, Sangiovese piccolo, grosso, così come esistono il Cedro Deodara, del Libano o Atlantica. E poi, come il Cedro, viene coltivato un po’ ovunque in Italia e, come il Cedro, non dà ovunque gli stessi risultati in termini qualitativi. Sembra una pianta facile da gestire invece non lo è.

In tutte e due i casi, Cedro e Sangiovese, se ci si sforza si riesce a farli sopravvivere ma per raggiungere lo splendore nel caso del Cedro e l’eccellenza del suo vino nel caso del Sangiovese, ci vogliono estati fresche, non torride, ci vuole la neve, la pioggia al momento giusto, mai troppa; e poi ci vogliono le notti fresche, fredde a tratti, ci vogliono giornate con brezza fresca e cieli azzurro terso privi di umidità residua.

Il Cedro ha bisogno di queste caratteristiche per strutturare nei decenni i suoi palchi di rami possenti, per sviluppare il suo tronco maestoso per crescere in altezza, ma non troppo. Ha bisogno di vento per irrobustirsi, per allenarsi alle intemperie.

Non vuole pigre giornate da pianura con canicole estive estreme, con umidità altissime e costanti e soprattutto notti uguali al giorno come temperature.

E’ così anche il Sangiovese ha bisogno di escursioni termiche estreme, come quelle di Montalcino, che ti costringono al golfino di sera anche a Luglio a volte. Per dare nel bicchiere quel frutto fresco e quell’acidità che è la sua forza e longevità non vuole piattume climatico, non vuole sabbione nel terreno, vuole difficoltà perché è forte, tenace.

Anche il Cedro lo è, ma a volte è scorbutico. Al Cedro la neve piace, ma deve essere quando e come dice lui; al Sangiovese la pioggia piace, ma deve arrivare quando serve a lui e non dopo mesi di siccità a Settembre altrimenti lui, avido, la beve golosamente e la invia tutta al grappolo rompendone gli acini.

Sono dei divi naturali. Un po’ viziati.

La neve per il Cedro deve essere polverosa, fredda; non deve arrivare troppo presto, prima che lui abbia finito di stoccare il legno dell’anno nella seconda parte dell’anello di accrescimento e non deve arrivare troppo tardi, sciolta e pesante.

Come tutti i divi però se li si accudisce e li si tratta al meglio raggiungono picchi di eccellenza inarrivabili.

Longevità estrema entrambi.

Tutti e due non devono essere troppo affilati, tesi: il Cedro non deve crescere troppo in altezza; il Sangiovese non deve essere troppo aggressivo. Non devono  neanche  essere troppo larghi, non devono invecchiare prima del tempo.

Ecco, a parer mio, sia per il Cedro che per il Sangiovese, chi decide di dover e poter godere dei loro benefici, deve porsi come obbiettivo massimo il  raggiungere  quel perfetto equilibrio tra massa e altezza, tra freschezza e corpo, tra densità degli aghi e rami, tra trama tannica e agile beva.

Questo lo si raggiunge piantandoli nel posto giusto, all’altitudine giusta con la giusta pazienza a disposizione e gli elementi climatici di cui hanno bisogno.

Beh chi riesce a fare questo sia esso un’arboricoltore od un vignaiolo godrà di uno degli alberi più maestosi della terra e di uno dei vini più longevi e di classe dell’enomondo. Avrà un albero dall’architettura unica e possente con un contrasto cromatico inarrivabile nelle giornate terse. Un organismo che nelle giornate ventose suona e balla come un’ opera lirica, un testimone della storia che ha vissuto, raccontata dalla struttura dei suoi rami e dalla “possenza” dei suoi palchi.

…e se sostituiamo qualche parola….non sono le stesse sensazioni che può dare un grande Brunello di Montalcino?!

Stefano

Il carpino come il riesling e il pinot nero.

Nonostante siano quasi 30 anni che vedo alberi e li osservo con attenzione, non finisco mai di stupirmi della loro incredibile capacità di emozionare.

Negli ultimi 10 anni mi sono anche appassionato al vino e spesso mi capita di fare dei paragoni, magari che possono sembrare irriverenti ai “professionisti” del vino.

In realtà uno dei grandi uomini del mondo enologico mi ha insegnato che il vino deve essere soprattutto divertimento: alla fine di tutti i discorsi che si fanno devono rimanere una “bocca buona” e una risata tra persone che stanno bene insieme.

Ecco perché non ho paura di dilettarmi in azzardati paragoni tra varietà di alberi e tipologie di vino. E mi diverto pure!

La settimana scorsa ho dovuto abbattere un annoso Carpino ormai minato nella sua stabilità da diverse patologie. Purtroppo.

Funghi cariogeni, indebolimenti del legno e infine un picchio che, giustamente, esplorava il legno intenerito da funghi fitofagi e indebolendo ulteriormente la tenuta meccanica di questo Carpino centenario.

Mi fermo a riflettere. Tagliando l’ultimo pezzo noto la complessità del legno e le infinite sfaccettature di colore e forma. “Disegni” dovuti alla centenaria lotta tra barriere di protezione interne all’albero e funghi cariogeni.

Il Carpino come specie all’inizio della mia carriera non mi era molto gradito: sempre contorto, non entusiasmante da arrampicare, poco elegante, “scorbutico” a volte… con questi “polloncini” verticali che quando passavi in chioma se non stavi più che attento ti frustavano il viso in maniera violenta ed irritante. Legno durissimo, ostico al segaccio da pota e alla motosega, insomma non proprio tra i miei preferiti.

E rifletto ora, dopo 30 anni, come invece sempre più ne apprezzo la forza e la bellezza, la voglia di non arrendersi mai, di “ricacciare” dal tronco sempre e comunque anche in presenza dei problemi gravi.

Ne ammiro la potenza e durezza del tronco, l’eleganza delle forme della chioma, meno spettacolari di quelle di altri alberi, meno “immediate”, tuttavia così piene e complete…mai banali.

Ecco, riflettendo su questi concetti, guardandomi intorno ad ammirare i grandi Carpini presenti accanto a quello mancato e girando lo sguardo verso altri grandi Faggi, Querce e Robinie, mi viene in mente che ho la stessa sensazione di “apprezzamento maturato” con i vini, e le loro caratteristiche.

Tra l’altro la giornata è tersa e il blu del cielo fa ancora di più risaltare i colori delle chiome ondeggianti sotto una leggera brezza.

Quando ho iniziato ad appassionarmi di Vino mi impressionavano i grandi nomi, altisonanti, i vini delle importanti regioni vitivinicole: protagonisti del mondo del Vino un po’ come gli alberi maestosi che un paesaggista mette più in vista all’interno di un parco: faggi, platani, alberi iconografici…che tutti, più o meno, riconoscono e apprezzano.

Rimanevo “rapito” da Vini spettacolari nei profumi e nei colori come certi chardonnay semplici che magari in bocca poi spariscono, esattamente come – continuando la nostra similitudine – possono attrarre le profumate robinie, che propongono affascinanti fioriture per 15 giorni all’anno e normalmente rimangono “bruttarelle” o sofferenti perché sono alberi a crescita velocissima e dalla storia breve.

Con il progredire del mio cammino di conoscenza nel mondo vitivinicolo apprezzo sempre più vitigni nuovi, zone meno note, magari un po’ dimenticate oppure fuori moda.

Mi appassiono anche alla storia di una bottiglia di vino e di chi la produce; vado a fondo nell’analisi sensoriale del vino nel bicchiere (senza complicarmi la vita non mi si fraintenda) e grazie anche ai miei formatori, agli “eno-amici” più esperti, cerco di cogliere ogni aspetto della “storia di vino” che ho di fronte. Quello che prima mi sembrava insignificante o poco emozionante ora lo declino meglio, cerco di comprenderlo e lo apprezzo.

E’ un po’ come camminare in un parco e non rimanere solo sui vialetti segnati, ma cercare di guardare dietro le quinte più spettacolari e trovare magari cespugli più bassi e nascosti, ma magari con profumi spettacolari o fiori piccoli e numerosissimi; quello che può capitare ad esempio andando oltre il Nebbiolo Piemontese classico e scoprire la speziatura della Syrah italiana…la Vespolina.

Ecco, secondo me, il Carpino rappresenta per un arboricoltore quello che il Pinot nero e il Riesling rappresentano per un sommelier o appassionato di vino: la dimostrazione che se sai apprezzare appieno e conosci le sfaccettature più fini di ciò che valuti vuol dire che cominci…cominci a capirne qualcosa.

Il Carpino come questi vitigni straordinari non cresce dappertutto e soprattutto non ovunque raggiunge quella complessità di forme del tronco e della chioma che lo rendono unico.

Come il Pinot nero non tutti riescono a tirarne fuori tutta la finezza e l’eleganza. Molti colleghi per necessità o comodità lo potano in forma obbligata perché spesso è di difficile interpretazione.

Nel mondo del vino strada ne devo ancora percorre per “capirne davvero” e spero un giorno di saper comprendere e apprezzare pienamente il Pinot nero e il Riesling. Esattamente come ora, dopo 30 anni di arboricoltura, ogni volta che salgo su un Carpino secolare ne comprendo e apprezzo la sua storia, l’eleganza non banale e la finezza delle sue forme contorte.

Anime, luoghi e vino: storie da raccontare…

…ci eravamo lasciati con la promessa che vi avrei raccontato come, dopo la prima serata in Locanda nel Vento, sull’onda dell’entusiasmo, proposi una serata con dei produttori di vino “miei amici” e relativa degustazione.
Catina, come detto, accolse subito con entusiasmo l’idea. Catina è estranea al mondo enologico, se non per il fatto che apprezza i buoni vini, tanto più se hanno una matrice di sana gestione e attenzione al territorio, e quindi organizzare questo incontro sarebbe stato affar mio. Insomma…mi ritrovai ad aver “promesso” una serata senza aver la minima idea di come metterla in piedi!!
Io sono fatto così. Se credo in un progetto mi lancio e vado oltre le mie possibilità mettendo tutto me stesso per realizzare ciò che ho pensato, siano “sogni” o “follie”, ma tant’è…
Questa mia caratteristica a volte è comprensibilmente mal sopportata da chi mi sta vicino o da chi collabora con me nei vari progetti; sono come un treno che travolge tutto…ma devo dire, a mia difesa, che spesso questo modo di essere è ragione di riuscita nel realizzare belle cose!!
Di questo potrebbe raccontare mille aneddoti la mia amica Valentina del Lago d’Orta che ha sopportato tanto la mia verve organizzativa…anche lei è una bella anima ad anelli: di Valentina parleremo un’altra volta!
Perché questa serata sul vino andava oltre le mie possibilità? Perché se è vero che sono appassionato di vino e in alcune zone vitivinicole ho amici e conoscenti, è vero anche che da lì a convincere un produttore ad investire tempo e vino in un luogo defilato e sconosciuto ..seppur splendido come la Locanda nel Vento …ce ne passa!
Mi metto subito all’opera e mi accorgo che nella vita a volte basta raccontare sinceramente e con entusiasmo il progetto che vuoi realizzare e le cose si allineano da sole, forse la chiamano legge di attrazione ma per me è esperienza.
Mi accorgo anche che esistono almeno due diversi “mondi del vino”, forse un po’ come in tutti gli ambienti: l’uno legato solamente e indissolubilmente al profitto e al “soldo” e uno che, sebbene si debba fare tutti quanti i conti a fine mese, ha una matrice inconfondibile, una radice di vera e autentica passione. E io a questo mondo mi sono rivolto, perché è il più simile al mondo degli alberi e ai professionisti che lo praticano.
Tutti, come dicevo, dobbiamo pagare i conti ma nel mio ambiente si crede nei sogni..si crede che arrampicare un albero rigoglioso e maestoso, abbia più valore!!
Crediamo nella passione che abbiamo dentro e ritrovare questo modo di essere anche in alcuni produttori di vino mi riempie sempre di speranza.
Per questi motivi mi rivolgo ad alcuni amici produttori conosciuti: l’uno per caso e l’altro per frequentazioni comuni ilcinesi.
Paolo Ghislandi è una vera Anima ad Anelli, un vero sognatore ed un concreto lavoratore. A Roma, per lavoro, lo incontro per caso: entrando in un bar-enoteca mi imbatto in una sua degustazione e rimango rapito dalla passione che traspare da ogni concetto che esprime .
C’è competenza tecnica di ottimo livello e lo si percepisce con chiarezza!
Nell’ascoltarlo, ancor prima ti innamori dell’attitudine di Paolo a divulgare e spiegare il vino e di come la sua naturale “felicità” nel farlo sia pura emozione che vive.
L’altro soggetto enoico che coinvolgo nella serata alla Locanda nel Vento è il simpatico Nicola Biasi, un giovane enologo rampante e molto preparato, trentino, ma di base a Montalcino.
Ho conosciuto Nicola ad una degustazione nel borgo ilcinese organizzata da amici comuni; mi colpisce subito per la competenza ma anche per la pacatezza e il modo dissacrante con cui la trasmette.
Racconto a Paolo e Nicola cos’ho in mente: una degustazione in un posto magico come la Locanda nel Vento, incentrata sì sui loro vini, ma soprattutto per raccontare delle loro esperienze di vita, di cosa li ha portati a “fare vino”. Insomma, vino e passione in un luogo ideale.
Catina ha accettato di realizzare la serata perché ama vivere emozioni ed il suo mantra è: belle persone che si incontrano serenamente in un luogo magico!
Gli ingredienti ci sono tutti!!
Definiamo l’accordo: in cambio dell’ospitalità loro faranno degustare i vini e racconteranno le loro storie.
Dal momento in cui accettano sono molto felice, allo stesso tempo mi sento in difetto: temo che l’attenzione mediatica per il loro prodotto non sia all’altezza e allora, come spesso mi capita, mi faccio venire in mente una sfida comunicativa importante e mi butto: provo a contattare un vero e proprio “personaggio” del mondo del vino, famoso e conosciuto !!
Non vi sto a raccontare le innumerevoli mail o messaggi su Facebook che scrivo e invio senza ricevere nemmeno una risposta o antipatiche risposte di richieste di compensi esorbitanti; nel mio messaggio di contatto semplicemente racconto chi sono e la mia passione per gli alberi, il vino e la passione di raccontare. Provo a proporre il mio progetto.
Nessuno mi prende in considerazione; molti amici mi fanno riflettere dicendomi ”è comprensibile…non sei nessuno nel mondo del vino..non sei credibile”. Io però non demordo perché nel mio mondo rispondo sempre ad ogni e mail, anche alla più assurda, se parla di alberi merita rispetto.
Sbagliato.
Devo dire che una delle tante cose che mi ha insegnato la mia amica Catina in tutte le esperienze condivise, nei momenti anche difficili di entrambi, è sempre stata la calma e la pacatezza nell’affrontare i problemi. Abbiamo sempre riso su questa cosa: lei mi ha insegnato a essere positivo e io, dal canto mio, le ho insegnato a essere un po’ più “vulcanica” quando possa servire! Questo è il grande valore di una vera Amicizia…tra vere Anime…
E in effetti cerco di pensare positivo e di convincermi che se le intenzioni sono pure e buone le cose si allineano come vogliamo: magicamente (ricordo ancora l’emozione) una sera mi risponde su Messenger il grande Leonardo Romanelli!! Non mi chiede nient’altro che di descrivergli i produttori e i vini. Lo faccio e mi risponde così: “interessante, se mi trovi un passaggio da Parma a Calestano…vengo volentieri”
INCREDIBILE!! Sono troppo contento!!!
Alla serata della degustazione sono super agitato ma tutto va per il meglio: Paolo e Nicola raccontano i vini ed emozionano gli astanti con i racconti incredibili della loro vita e di come la passione per il vino li abbia guidati verso una totale dedizione alla terra e ai suoi prodotti.
Leonardo si rivela un’anima positiva e coinvolgente: pacato nell’intervenire e coinvolgente nel fare i suoi commenti tecnici, sempre attenti alla componente emozionale.
Il pubblico è felice e Catina anche nel vedere la Locanda ancora una volta crocevia di belle emozioni: finalmente mi rilasso e mi godo il momento.
Ripenso a tutti gli incroci casuali che hanno portato tutte queste persone ad incontrarsi ad intersecarsi. Tutti con le loro vite e ad emozionarsi grazie a questo. Mi guardo in giro e vedo sorrisi, confronto tra i produttori, crescita reciproca e allora mi chiedo: “perché spesso non si crede ai progetti che ci propongono? perché alcuni ci credono e altri no?”
A mio parere perché bisogna sforzarsi di essere più puri di pensiero, eliminare le dietrologie ed avere meno paura di prendere una fregatura! Sono io il primo a far fatica a farlo tuttavia ultimamente mi sto rendendo conto che, senza essere sprovveduti o sciocchi, la fiducia paga più della diffidenza, a prescindere.
La diffidenza dipende dal fatto che alcuni progetti sono poco convenzionali? In realtà è spesso la non convenzionalità che crea le cose più belle e fa da musa alle storie più emozionanti siano esse di vita, amore, amicizia o lavoro…ne sono sempre più convinto!!!
E se ci ripenso le cose più belle che ho vissuto in vita mia erano viste dai più, o anche dagli stessi protagonisti come non convenzionali. Ringrazierò sempre la mia “pazzia ” e la non convenzionalità nel decidere di vivere determinate esperienze, e di proporle.

I casi della Vita portano a….

…e la mattina arriva con un sole stupendo, il vento si è calmato lasciando un‘aria fresca e pulita.

Assistevamo all’affacciarsi della primavera sui colli parmensi.

Io sono abituato ad alzarmi presto, anzi, adoro alzarmi presto!

Verso le sette, faccio due passi nel giardino della Locanda e, mentre guardo l’affascinante panorama della Val Baganza, intravedo Catina sulla collina di fronte nel suo terreno.

E’ in compagnia di un cane lupo e due bovari del bernese che, sorpresi dalla mia presenza, mi corrono incontro esuberanti e simpaticamente minacciosi, ma si vede che sono buonissimi.

La raggiungo e le faccio i complimenti per il giardino.

Catina mi racconta che vive in locanda solo da alcuni mesi e che, presa dalla ristrutturazione del casale che risale al ‘700, ha avuto poco tempo per curarsi dello scoperto e vorrebbe qualche consiglio a riguardo.

Mi accorgo che non comprende subito che i miei complimenti sono rivolti proprio alla naturalità di quel luogo, al verde genuino, senza troppi “fronzoli o artefizi”.

Nel guardarmi intorno, nel silenzio, ascolto la sua voce che mi spiega che ci sarebbe il bosco da sistemare, i rami secchi da eliminare, e il giardino di fronte al casale da tosare. Tanti aggiustamenti da fare, secondo lei!

Mi permetto di distrarmi e non fare più molta attenzione a ciò che dice perché vengo letteralmente assorbito dalla visione di uno stupendo esemplare di Quercia, giù alla base della collina, che catalizza i miei sensi.

E’ una Quercus Robur, con evidenti problemi di salute si, ma esprime e “personifica” un valore che mi entusiasma, negli alberi come nelle persone: la resilienza.

La resilienza, la capacità di piegarsi ma non spezzarsi a fronte delle avversità della vita; la dote di sapersi rigenerare, adattare e reinventare, per sopravvivere.

Catina se ne accorge e mi dice..”…ah quella…piace molto anche a me ma andrebbe potata vero?…io non ne capisco molto, vorrei fare di questo posto un luogo bello, dove far incontrare persone interessanti (leggi anime ndr) creando iniziative culturali e di condivisione”.

In quel momento si accende una scintilla! 

Catina e la Locanda sembrano la somma perfetta di come si possa fare accoglienza e cultura del bello, dell’amicizia vera tra le persone che desiderano crescere e condividere. Ed è tutto lì in un posto ideale esattamente in quel momento.

Era da qualche tempo che professionalmente e, più in generale, umanamente, sentivo l’esigenza di “qualcosa” di stimolante per reinventare il mio modo di approcciarmi alla vita e alle varie situazioni!

Nel frattempo ci raggiunge Riccardo e anche lui rimane rapito dalla Quercia.

Azzardo… ”Rik cosa ne dici di usare questa Quercia per spiegare la resilienza degli alberi?…magari in organizzando un evento o a favore dei ragazzi delle scuole?”

Il Ferrari che è sempre entusiasta su nuove proposte, specialmente se controcorrente e innovative ribatte con un “ma si!!”. Rivolgendoci a Catina le comunichiamo in coro che in realtà alla Quercia non avremmo fatto proprio nulla, che andava bene così.

Lei sorride…rimane interdetta ma fiduciosa…

Le spiego che io e Riccardo abbiamo fondato un piccolo gruppo di Arboricoltori eco-etici: ci rapportiamo agli alberi cercando di avere il minor impatto possibile sulla loro esistenza. Potare solo se serve, assecondare i tempi delle piante e se il secco non è pericoloso lo riduciamo e basta. Oltre a ciò in genere pratichiamo i cosiddetti “tagli a corona” per favorire lo sviluppo della biodiversità.

Catina fa un passo indietro quasi travolta dalle nostre spiegazioni, sicuramente le saremo sembrati due fanatici. In realtà ci sorprende il fatto che ha compreso subito la vera passione che mettiamo nel nostro lavoro, nella cura degli alberi, e ci ha dato subito completa fiducia e supporto.

Una cosa che ho imparato negli ultimi anni è che le “anime ad anelli” si capiscono e si fidano reciprocamente. Si crea naturalmente una intesa perfetta che si basa sulla fiducia riconosciuta nel constatare la purezza degli intenti. In questi ultimi due anni ho capito che Catina è fenomenale nel far propri ed assecondare questi concetti, non solo con me, ovviamente, anche con tutte le persone che ha incontrato e coinvolto nei suoi bei progetti.

Mi stupisce quando mi dice “dai scegli una data e vieni in Locanda a parlare di alberi!”. Mi spiazza. Continua “si si dai…coinvolgo uno scrittore ed una mia amica che produce parmigiano. Se sei d’accordo inauguriamo così una serie di eventi che ho in mente”.

Mi ritrovo a sorridere a Riccardo pensando che davvero ci vuole poco per realizzare belle cose, se lo si fa con così tanto entusiasmo!

Rientriamo in Locanda e facendo check out ci ripromettiamo di organizzare davvero la serata.

La serata evento c’è stata a inizio estate 2017.  Mi sono trovato a parlare di alberi, davanti a una platea di 30 persone attentissime, al fianco di un bravissimo scrittore come Mario Ferraguti – grande conoscitore degli Appennini Emiliani, delle tradizioni e della fauna di quel territorio- e a Gabriella e Diego proprietari dell’azienda agricola Bastia.

Ferraguti ha scritto diversi libri; uno, in particolare, sul fascino delle case abbandonate.

Si, avete capito bene, ha scritto un libro sul fascino delle case spopolate che sono sugli Appennini: “La voce delle case abbandonate – Piccolo Alfabeto del silenzio – Ed. Ediciclo. Pagine bellissime che raccontano cosa può testimoniare una casa sulla vita che la abitava, osservando gli oggetti che contiene.

Inutile dirvi come la lettura di questo libro mi abbia aperto la mente e fatto riflettere su quanto  ci possa dire un oggetto che può sembrarci insignificante ma che per chi l’ha posseduto probabilmente aveva un significato importante, a volte vitale.

Riassumendo Ferraguti mi ha fatto ragionare sull’importanza del rispetto delle cose altrui!

E poi Gabriella e Diego. Li abbiamo ascoltati dirci cose molto interessanti su un prodotto come il Parmigiano, specialmente su come si possa produrre nel rispetto del benessere animale.

A fine serata Catina offre un aperitivo a tutti e sorseggiando un buon spumante sorride e candidamente ci dice “bravi tutti!”

Siamo felici e ci rendiamo conto che in effetti la magia del luogo ha permesso di incontrarci e conoscerci.

quattro anime ad anelli…quattro passioni diverse…quattro sconosciuti che ora si stimano.

Ci penso un attimo e rilancio: propongo a Catina di organizzare una seconda serata-evento sul vino che, come sapete, è altra mia grande passione. Lei senza pensarci sposa subito l’idea. E si riparte.

La semplicità di un sincero “perche’ no?!” ad una qualsiasi reciproca proposta ha un “sapore” entusiasmante; c’è da riflettere sul fatto di spargerne un po’ più spesso di “perché no!“,  in generale, di certo sarebbe positivo per tutti.

Subito comincio a pensare a come organizzare questo evento enoico sperando di non essermi lanciato in qualcosa di più grande di me. Com’è andata? Ve lo racconto nel prossimo post. A presto!

I casi della vita

La storia che vi voglio oggi raccontare è, forse, la pìù emblematica, se pensiamo all’interconnessione di anime come fossero anelli di un albero.

È emblematica perchè rappresenta chiaramente  come le coincidenze, o il fato, o il destino o il seguire il proprio istinto, rappresentino qualcosa di straordinario, quasi il formarsi di una magica tela.

Chi  mi conosce, sa che questo lavoro, quello di tree climber arboricoltore, lo faccio per necessità, ma anche, oserei dire soprattutto, per passione.

Quindi sono molto analitico nel vagliare ogni  nuovo cliente, con gli eventuali pro e contro che una sconosciuta trasferta si porta inevitabilmente con sé.

Seguendo questa mia basilare teoria, quindi, mai avrei dovuto accettare l’invito di una simpatica signora settantenne che per giorni, telefonicamente, mi pregava di passare da Collecchio per vedere il suo Acero di 10 metri !

Eppure, qualche giorno più tardi, di ritorno da un’altra trasferta con il mio amico e collega Riccardo Ferrari, suggerisco di investire un po di chilometri e fare una deviazione in quel paesino sulle prime colline parmensi.

Proprio da questa deviazione, iniziano una serie di coincidenze ed incontri che ancora oggi, a distanza di due anni si sono rivelate “esplosioni concentriche” di nuove amicizie, di emozionanti frequentazioni, di proficue collaborazioni e, sopratutto, di condivisioni di passioni.

Vado a spiegarmi: cominciamo col dire che, subito, al primo incontro, la proprietaria dell’Acero di Collecchio si rivela una competente ed appassionata del verde. Abita in una tenuta ricchissima di alberi imponenti di ogni specie, volutamente messi a dimora da lei ed il marito, con un pregevole e unico gusto per le potature. Insomma, una vera arboricoltrice sotto mentite spoglie.

A Riccardo ed a me, tutto ciò non pareva vero!

La giornata nel parco di Collecchio scorre piacevole e gratificante a livello professionale ed umano. Ad un certo punto il buon Ferrari mi dice “ma stasera dove si va a dormire?” Io: “tranquillo, ho prenotato on line un b&b qui vicino!”. Mentre dico così, mi accorgo di non avere la mail di conferma!

Chiamo immediatamente quel b&b per sentirmi dire che c’è stato un disguido e che non ci sono camere libere per la notte!

Io odio gli imprevisti in trasferta!! Freneticamente comincio a cercare scoprendo che l’ospitalità locale è al completo a causa di un evento. Allargo la mia ricerca aumentando il raggio chilometrico e, a 16 km di distanza, trovo una locanda e penso: vediamo!

Impostiamo il navigatore e ci dirigiamo verso Calestano.Riccardo ed io, come a volte capita, vivendo lontani, viaggiamo con due macchine. Percorrendo la provinciale che si inerpica verso Calestano, perdo il conto delle curve e comincio ad innervosirmi. Riccardo invece, da buon toscano, è più serafico: ride e dice bischerate ,con il solito atteggiamento che mi innervosisce  sempre di più.

Mentre saliamo mi riattacco al telefono facendo il numero di riferimento per sincerarmi che anche qui non ci sia un contrattempo. Ottengo risposta  da una voce trafelata femminile : ”prenotazione on line?…non so nulla!”. Mi sale ancora la tensione e comincio a pensare di essere su scherzi a parte !!!

Poi, più soavemente mi rassicura: “ma non si preoccupi, abbiamo posto!”

Respiro, grato.

Continua il viaggio, ed il navigatore ci fa salire verso un paese sperduto sopra Calestano, Canesano, un borgo semi deserto di 4 case. Sono sempre più stanco, ho voglia di una doccia, le fatiche del tree climbing e dei chilometri si stanno facendo sentire ed ancora non abbiamo raggiunto il b&b e, a dir la verità, ho la netta sensazione di essermi perso. Riccardo continua a sdrammatizzare, ridendo per la inconsueta circostanza. Scendo dall’auto, un vento potente, ma non sgradevole, soffia.

Un cagnolino al centro del borgo si avvicina guardingo, mi squadra, fa pipi sul cerchione della mia macchina e se ne va. Guardo Riccardo che ride, vedendo la mia faccia basita. Una vecchina seduta fuori dall’uscio, che sembra quella del film Mediterraneo, mi fissa. Le chiedo se sa indicarmi dove’è la locanda nel vento. Lei mi guarda e mi risponde “vent quant a vliv…ma Locande no” (vento quanto ne volete..ma Locande no n.d.r).

Ora i miei nervi sono fuori pelle! Richiamo la proprietaria e quasi mi scappa un ” ma dove c…o sta questa Locanda?!” E lei sempre più soavemente : “sto arrivando, scendete verso il paese e la trovate sulla sinistra”…Qui la prima stranezza invece di infuriarmi decido di calmarmi.

Arriviamo in locanda ed e’ davvero un posto unico, immerso in un verde originale e con un panorama bellissimo. La locanda nel vento è una struttura elegante ed incantevole con una tangibile energia positiva.

Dormo quasi 130 notti all’anno fuori casa ed ormai “sento” i posti belli. Questo lo e’….

Una signora ucraina molto gentile, ma con un lessico assai limitato, ci invita ad entrare , in attesa della proprietaria. Guardo Riccardo che ormai ride tantissimo guardando la mia faccia desiderosa solo di un posto dove rilassarmi per cancellare le fatiche della lunga giornata.

Entriamo e ci sediamo.

La sala è davvero incantevole: tutto è coordinato e cosparso di preziosi piccoli dettagli, ricchi di gusto e di passione per gli arredi.

Fuori, il vento forte, ma non fastidioso, continua a spirare come se parlasse o suonasse una sua musica…come se raccontasse delle sue storie che vuole trasmettere a chi passa di li.

Sembrano storie belle …come un amico che trafelato ha voglia di raccontarti episodi belli che gli sono accaduti. Ne rimango stregato.

Finalmente arriva la proprietaria, Catina…e subito intuisco perchè quel posto e’cosi curato ed elegante. Rispecchia chi lo abita!! Bella donna radiosa e sorridente ed elegante nei modi.

Ci dà il benvenuto in locanda in maniera sincera e genuina…questo ci colpisce. Catina ci accompagna a visitare la locanda e dopo che scopre la nostra professione ci chiede se l’indomani potessimo fare una valutazione sui suoi alberi.

Ecco, da qui, da questo ulteriore sasso tirato per caso in uno stagno, partiranno dei cerchi di storie, degli anelli bellissimi, che vi racconterò…

Anelli che intrecciano persone ed anime amanti degli alberi del buono e del bello…amanti delle persone…amanti della vita e delle sue manifestazioni tra persone straordinarie.

I prima e i dopo.

Esistono dei prima e dei dopo.

Professionalmente e umanamente per me c’è il prima e dopo l’incontro con Mark Chisholm.

Mark è arboricoltore tree climber statunitense, pluricampione mondiale di tree climbing dell’ISA – International Society of Arboricolture. Un’istituzione per il mondo dell’arboricoltura: grande professionista e, con orgoglio, ora posso dire grande amico.

Nel 2003, con Laura Gatti – Presidente della Società Italiana di Arboricoltura e con altrettanto orgoglio che con Mark posso dire grande amica, stavamo cercando di stimolare la crescita della sezione Tree Climbing della SIA immaginando di proporre una iniziativa qualificante e dedicata.

Suggerii a Laura di fare veramente qualcosa di “forte” organizzando un workshop con l’intervento di un relatore internazionale, proveniente da quelle aree che nei primi anni duemila erano decisamente all’avanguardia nella nostra professione: Stati Uniti e nord Europa.

Con Laura si decise di accogliere il suggerimento di Rip Tompkins di invitare qualcuno a seguito della mia partecipazione al Congresso Mondiale ISA a Montreal di quell’anno; partii e devo dire che fu una trasferta molto molto proficua.

Non solo per come mi venne in mente di coinvolgere Mark in Italia (che allora era un promettente giovane tree climber) ma anche perché lì incontrai, sempre grazie a Laura, il Prof. Francesco Ferrini a cui, ancora oggi mi lega una efficace e stimolante collaborazione professionale.

A Montreal quell’anno Mark Chisholm guadagnò il podio del Campionato Mondiale di tree Climbing ISA a cui avevo avuto l’onore di assistere in qualità di giudice europeo. Sono strabilianti i suoi risultati ai Campionati Mondiali ISA: ha partecipato a 18 competizioni e per 17 volte è arrivato tra i primi quattro classificati. Per chi lo conosce è chiaro che anche questa è espressione della sua costanza, dedizione e l’allenamento continuo che sono esattamente le caratteristiche che hanno contribuito, insieme alla passione per gli alberi, a determinare la sua grandissima professionalità.

Dicevo…al termine della competizione a Montreal, Mark si godeva in un angolo tranquillo una “sana” birra, il riposo del guerriero. E lì attaccai 😊

Con non poca faccia tosta mi avvicinai e, seppur timido, sfoderai una determinazione che, con il senno di poi, ritengo sia stata la vera chiave di volta della costruzione di una robusta amicizia: gli proposi di “affacciarsi” in Italia e costruire insieme un evento di formazione che, all’epoca, non era all’avanguardia rispetto al mondo del tree climbing americano.

Al rientro lo sommersi di mail dettagliate e programmi serrati di avvicinamento al sospirato corso.

Accettò. Wow.

Preparammo un workshop di alta formazione nella primavera del 2004 per 16 selezionati colleghi professionisti a cui “somministrò” una serie di tecniche che, ancora adesso rappresentano i capisaldi della professione in Italia (ad es. le prime tecniche di ropewalking per la risalita in pianta e l’applicazione al tree climbing del nodo valdostano trecciato).

Sempre nell’ambito del workshop, dato il notevole interesse in ambiente arboricoltura, fu organizzato un open day per circa 200 professionisti nel parco di Villa Cagnola a Varese; ero nervoso, ero abituato a pianificare ogni dettaglio e Mark non sembrava interessato a sapere con anticipo cosa ci si aspettava e come relazionarsi con gli astanti…bene…a dispetto della mia ansia quello fu il momento del “prima e dopo Mark” nel tree climbing italiano.

Arrivò, lanciò il sagolino a 35 mt da terra, vi fu un “oohhh” generale e, oltre a rilassarmi, capii che in quel momento stavamo dando origine a qualcosa di importante che cambiava il tree climbing italiano.

Questa collaborazione diventò amicizia. E non solo. E’ diventata uno scambio umano e professionale profondo che vale l’investimento di tempo e risorse per incontrarci viaggiando oltreoceano spesso. Un’amicizia che ha generato una sorta di “comunità professionale”, un gruppo di colleghi italiani che hanno in Mark un punto di riferimento a cui lui destina la disponibilità che si offre a “quelli di famiglia”. 

Io considero la mia amicizia con Mark un “dono degli alberi”, un arricchimento derivato dalla mia passione per gli alberi.

Insomma. Esistono i prima e i dopo.

Radici, Rami e Vita

Ogni volta che guardo questa foto ammetto che mi perdo ad attribuirle significati sempre più articolati e insospettabili. Guardarla è diventato una sorta di “mantra ad immagine” e, rischiando di essere considerato come “spacciatore di fantasticherie metafisiche” 😊, vorrei condividere l’ispirazione che mi viene da questa foto.

Al contrario dell’astrazione io ci vedo molta concretezza; mi sembra proprio una significativa metafora della Vita, almeno per come la interpreto io con la mia esperienza. Mi affascina però il fatto che è una “immagine semplice”, come il disegno di un bambino, ritragga l’Essenziale.

I tratti semplificano la realtà, la lettura è pulita, netta, senza fronzoli. Questo è forse ciòche a volte è necessario per valutare al meglio gli eventi, le opportunità, le difficoltà e “riattrezzare” il pensiero a superare o affrontare con efficacia ciascuna di queste situazioni. Magari allargando l’orizzonte temporale e gestendo al meglio le energie. Come fanno gli Alberi.

Insomma.

C’è la terra, il prato verde, concreto e consistente, la dimensione “hard”, la base della vita, che è necessario avere e gestire.

C’è il cielo in metà foto, in perfetto equilibrio con la terra; cielo azzurro, aspirazionale, etereo…eppure materico, leggero ma altrettanto importante che la base…metaforicamente la materia di cui si nutre l’anima (per restare nel nostro tema) e in cui a volte muoversi non è così semplice…

E poi c’è l’Albero, l’individuo… l’anima che ci ha messo vita, tempo e impegno a sostenere la sua crescita, ed è cresciuto. Ha determinato il suo spazio e ci ha messo tanti “anelli”, tanti anni per diventare così, stagliandosi e combattendo.

Partendo dal suolo questo individuo ha trovato la sua strada, ha creato il proprio spazio aprendosi la strada nell’elemento Terra tramite le radici e nell’elemento Aria tramite i rami; rami e radici che, di fatto, rappresentano una connessione tra cielo e terra. Una connessione che ha una storia.

I rami raccontano di una evoluzione dell’anima…intesa come dimensione intellettuale di un essere: bivi, decisioni, percorsi di vita presi e lasciati, rami spezzati e ricresciuti in altra direzione…le metafore si sprecano.

Le radici raccontano invece di attaccamento alla vita, consapevolezze, ancoraggi e basi per la crescita, nutrimento basilare per lo sviluppo totale. Le radici degli alberi, secondo alcune teorie più recenti, sono il mezzo che permette la condivisione tra elementi “sociali” della flora, innescando il tema delle comunità e della gestione della sopravvivenza gestita in comunità.

In questa foto c’è anche, potente, la dimensione temporale; a me comunica una sorta di lentezza e di “pazienza” che impone lo “sguardo” di lungo termine verso un equilibrio generale che esorta ad astrarsi dalle opportunità/avversità momentanee per puntare alla Vita generosa (materialmente e spiritualmente) sul medio/lungo periodo.

Riflessioni. Sarà troppo da vedere tutto in un albero in mezzo a un prato? Boh…forse è solo perchè sono un’anima ad anelli 😊

Quercia e vigneto: emozioni in Val d’Orcia

Un privilegio unico: arboricoltura, cultura, territorio e vino. La quercia di Poggio al Vento e il brunello di Col d’Orcia.

Da arboricoltore ogni albero che incontro mi offre l’opportunità di dare valore alla mia idea che prendersi cura del nostro mondo è affar di tutti e che, ognuno con la propria sensibilità, può contribuire.

Certo, amando il mio lavoro sono propenso a metterci l’occhio della “speranza” ma la ricerca di alberi unici, di “storie verdi” dal sapore genuino e virtuoso, e di persone che le rendono realtà, se ne trovano, eccome. E da questo si incrociano vissuti, passioni, cultura, territorio e…fiducia nel fatto che il Bello c’è.

Oggi vi racconto di un nuovo stupore: evento recente, vissuto grazie al mio amico il Prof. Francesco Ferrini che vale davvero la pena condividere.  Per inciso al Prof. Ferrini dell’Università degli Studi di Firenze dedicherò un posto speciale in questi miei racconti, perché, anche lui, è un’anima ad anelli.

Per come è andata poteva iniziare così…

“C’era una volta una grande quercia che cresceva nella terra di un Conte, un posto molto bello, un luogo dove la ricchezza della Natura diventava vigneto; curato dai saggi del territorio il vigneto offriva un vino prestigioso. La Quercia dominava e vegliava da molti anni questa terra, fiera e maestosa custode di una sapienza antica. Da qualche tempo, però, la maestosa anima era sofferente e furono chiamati i migliori esperti per capire il da farsi…”…eh sì poteva iniziare così perché a me, come capirete, da arboricoltore e sommelier, mi è sembrata una favola…

Per uscire dalle favole e parlare di realtà vi dirò che parliamo della famosa Quercia di Poggio Al vento che si trova nella proprietà dell’Azienda Col D’Orcia di Montalcino gestita dal Dott. Giuliano Dragoni.

L’Azienda, proprietà del Conte Francesco Marone Cinzano e dei figli Sean e Santiago, ospita il vigneto che dà il nome a uno dei Cru di Brunello più prestigiosi del panorama enologico nazionale; la Quercia di Poggio al Vento è una Rovella cresciuta in questo luogo magico e la sua “anima”, che ne custodisce i tratti, domina fieramente il territorio.

Per averne cura e attenzione erano davvero necessarie la sensibilità del Conte Marone Cinzano e l’attenzione del Dott. Dragoni; perone che gestiscono con la mentalità dei manager di una importante azienda una realtà produttiva che è però anche ambiente, territorio e cultura, e su questo fondano il loro successo. Non considerando la terra una risorsa da sfruttare ma quasi come un “partner” con cui lavorare!

Ecco il perché della loro dedizione e attenzione anche per la Quercia secolare e non solo per il vigneto! Come testimone e anima di un patrimonio che va molto oltre il valore del vino e dell’azienda che va sotto il nome di Col d’Orcia.

Plauso a Col d’Orcia e mi butto a capofitto con questa voglia di scoprire questa realtà e capire se posso contribuire con la mia specializzazione a far star meglio la Quercia che mostra qualche sofferenza; incontro immediato con Dragoni e anamnesi del caso…

Le ultime 10/12 stagioni molto calde e poco piovose hanno messo a dura prova la salute della Quercia: molti cimali secchi e una diffusa microfillia in molti rami (cioè molte più foglie piccole di quanto è normale). La posizione della pianta, all’incrocio di due stradelli sterrati, non l’aiuta a usufruire dello strato di humus di superficie che, quando piove forte, viene lavato via dall’acqua che si incanala proprio sottochioma tramite gli stradelli.

Presento l’anamnesi e le osservazioni al Dott. Dragoni, ormai diventato Giuliano, e la cosa che apprezzo di più è il fatto che “parliamo la stessa lingua”: si affida ai miei consigli, nonostante lui sia molto competente in agronomia, ma, in quanto tale, sa che gli alberi sono un altro mondo. 

Mi viene affidato l’incarico di occuparmene e la cosa mi rende felice ed orgoglioso.

Mettere a disposizione la mia competenza professionale a persone così culturalmente illuminate in materia di Terra non fa che supportare e irrobustire l’attesa dell’emozione che so già che proverò nel salire la Quercia. Mi attende un privilegio unico, a cui mi preparo sentimentalmente e con dedizione quasi sacrale: quel momento non mi delude…è l’attimo in cui il mio sguardo ha schiomato sul vigneto, una volta giunto tra le fronde.

In una delle foto che allego è ritratto il vigneto visto dalla Quercia; lo sguardo “buca” dal di dentro le chiome della quercia e si posa sulla distesa di vigne. Insomma… tu sai di essere su una pianta “mito” grazie al tuo lavoro e di guardare da un punto esclusivo il vigneto che produce un vino tra i più prestigiosi ed apprezzati al mondo…non temo di esagerare nel dirvi che l’emozione è stata intensa, tracotante, e ogni volta che ci ripenso rimetto un sorriso vivo.

Di certo quell’esperienza ha aggiunto un anello robusto e significativo alla mia anima e non lo dimenticherò mai.

Tecnicamente potrete trovare i dettagli sul mio sito qui mi limito a elencare alcuni passaggi del lavoro per farvi “sospettare” che questo è un impegno ampio, tutt’altra cosa rispetto a quanto siamo abituati a pensare quando vediamo decapitare gli alberi in città perché “fanno foglie”.

Con i colleghi decidiamo per: potatura in tree climbing sui rami secchi che obbiettivamente potrebbero essere pericolosi per chi passeggia in questi luoghi; dei tagli a corona (rottura naturale del ramo) per far mantenere alla quercia un aspetto naturale a lavoro concluso e continuare a dare albergo ad insetti e microrganismi utili; una biostimolazione radicale, ovvero un inoculo nel terreno di sostanze biologiche e naturali che favoriscano l’attività radicale, come, ad es.  funghi simbiotici e attivatori della flora e fauna ipogea.

Il giorno dell’esecuzione lavori siamo tutti emozionati, giornata leggermente ventosa, ma con un sole meraviglioso che rende piacevole l’arrampicarsi e lavorare.

Esattamente per questa EMOZIONE val la pena metterci PASSIONE e IMPEGNO; quel giorno, nonostante la mia “carriera” decisamente avviata e ricca, ho raccolto la netta sensazione di essere ulteriormente cresciuto come individuo. Sorrido soddisfatto e respiro a pieni polmoni. VITA.

La potatura riesce molto bene e sperando in un inverno piovoso in primavera la Quercia risulterà molto più bella e in salute. Viene a sincerarsene anche il Conte e trovare una persona importante come lui emotivamente legato in maniera così sincera ad un albero ha il sapore di coronare una giornata costruttiva e “vera”. 

Spero sempre più un mondo popolato di alberi…e di persone così!!

Ovunque sei

Sono abituato ad alzarmi all’alba per raggiungere alberi in ogni dove. E fare il mio lavoro.

Questa volta, sabato 5 Gennaio, mi sono alzato prestissimo e ho raggiunto una sala on air radio, quella di Radio 2, quella di Ovunque Sei di Natascha Lusenti e Federico Bernocchi. Ho raccontato del tree climbing e del Pinone di Pavullo a orecchie assonnate, lontane ma attente.

Fa parte della mia crescita, raccontare: ho imparato a condividere, a divulgare e, accorgendomi che le storie interessano ed affascinano, ho vinto la mia riservatezza. Mica completamente.

Raccontare storie semplici, ma “culturalmente mastodontiche” come quelle degli alberi che ho incontrato e conosciuto, mi ha concesso il privilegio di riconoscere nelle persone (non tutte) attenzione e rispetto per il Mondo Verde. Che è il nostro Mondo. Tutte le volte aggiungo così un anello di fiducia nella condivisione e nella potenza che hanno i racconti semplici della Natura, quella di rendere stupefacenti eventi che diamo per scontati come un albero che cresce, il foliage o una radice che cammina.

Se avete voglia l’audio dell’incontro con Ovunque Sei qui sotto.